BIPOD Technologies – Intervista ai finalisti
La startup sta sviluppando un kit per supportare la diagnosi precoce del Parkinson.
Conosciamo BIPOD Technologies, uno dei progetti finalisti della Start Cup Emilia-Romagna. Per saperne di più abbiamo intervistato Silvestro Turtoro, uno dei founder della startup.
#LifeScience
Di che cosa si occupa BIPOD?
BIPOD sta sviluppando un kit di biopsia liquida per supportare la diagnosi precoce della malattia di Parkinson.
Da chi è composto il team?
Siamo in quattro: ci sono io, Silvestro Turtoro, uno dei founder con una laurea in biotecnologie farmaceutiche, c’è la mia co-founder Angela Volpe, biotecnologa medica a cui si aggiungono due advisor, uno di carattere scientifico, l’altro più incentrato sulla parte di business. Si tratta di Giampaolo Zuccheri, ricercatore del dipartimento di biochimica e nanotecnologie dell’Università di Bologna, e Alfredo Ventola, general manager dell’azienda partner AcZon Srl. BIPOD è un progetto indipendente, nato embrionalmente all’università che si è sviluppato successivamente in azienda.
Come è nata l’idea?
L’idea è partita quando ero in tesi di laurea con il mio relatore Giampaolo Zuccheri. Il team iniziale ha partecipato a un bando della fondazione Michael J Fox senza successo. A quel punto la compagine si è disgregata, io ho cominciato a lavorare nell’azienda AcZon, risultata successivamente fondamentale per l’appoggio al progetto, dove ho trovato terreno fertile per la nascita del nuovo progetto BIPOD. Questo è avvenuto grazie all’aiuto di Giampaolo Zuccheri ma soprattutto di Angela Volpe, all’epoca mia tutor aziendale: senza la sua preziosissima collaborazione probabilmente adesso non saremmo qui a parlare di BIPOD. Entrambi abbiamo studiato a lungo questa patologia e con impegno e devozione abbiamo raggiunto un risultato importante dato che ad oggi non esiste un modo di diagnosticare precocemente questa malattia altamente invalidante e cronica. Quello che ci ha molto motivato è sapere che nel mondo ci sono circa 400 milioni di persone malate di patologie neurodegenerative, le quali non sono in grado di vivere una vita degna: di queste più di 10 milioni sono affette da Parkinson, senza considerare quelle che non sanno neanche di averlo.
A che punto siete?
Attualmente siamo nella fase di sviluppo tecnico del kit che dovrebbe terminare in sei mesi. Siamo inoltre in attesa di ottenere un MVP ovvero un minimum viable product, un prototipo minimale che ci permetta di conseguire un brevetto abbastanza forte sul nostro prodotto. A quel punto potremo cominciare a distribuirlo, gratuitamente o a un prezzo accessibile, nei laboratori e nei centri di ricerca per testarlo sui pazienti. Partiremmo da un gruppo di soggetti definiti che hanno riscontrato già casi in famiglia per arrivare, un giorno, a uno screening di popolazione come si fa oggi per altre patologie anche quando non sono presenti sintomi o familiarità: questo è l’obiettivo che ci poniamo.
Quali sono i punti di forza di BIPOD e quali, invece, i punti di debolezza?
Innanzitutto la nostra tecnologia funziona e ne abbiamo avuto evidenze. Poi parliamo di una biopsia liquida che può diagnosticare la malattia tramite un semplice prelievo di sangue in maniera non invasiva. Dal mio punto di vista, la criticità è legata ai tempi necessari per ottenere il brevetto. Al momento, teoricamente, non ci sono competitor ma so che ci sono colossi farmaceutici che hanno spostato la loro attenzione sulle patologie neurodegenerative. E loro hanno decisamente più risorse di noi.
Un bilancio del percorso della Start Cup?
A noi è servito tantissimo anche perché nessuno dei membri del team, tranne Ventola, aveva conoscenze in materia di business development. Siamo sicuramente cresciuti e ci sentiamo molto più sicuri di noi stessi anche su questo fronte.
Cosa vedete nel vostro futuro?
Il mio desiderio è quello di avere un’azienda per continuare a fare questo lavoro in maniera indipendente e con un’identità ben precisa con una linea di prodotti che parta con il kit. Una volta varato il metodo possiamo dedicarci ad altre patologie per cui ancora non ci sono risposte, abbiamo già in mente quali. Grazie allo sviluppo delle nanotecnologie, oggi si possono ottenere risultati impensabili anche solo fino a dieci anni fa. Noi siamo decisamente al passo con la ricerca e, senza falsa modestia, possiamo dire che nel contesto italiano non conosciamo altre realtà che stiano lavorando al Parkinson allo stesso modo. Poter fornire quelle risposte, colmando quei tasselli mancanti per aiutare le persone a supportare la diagnosi precoce delle malattie, agevolando quindi anche il percorso di cura, ecco questo è il nostro sogno.
«Vorremmo poter colmare quelle lacune relative alla diagnosi precoce di alcune patologie, partendo dal Parkinson. Il nostro sogno è quello di trovare quelle risposte che ancora mancano: sapere di essere d’aiuto alle persone con la ricerca per noi è una forte motivazione»