rECOver – Intervista ai finalisti
rECOver
La startup recupera gli scarti dell’industria ittica e li trasformarli in ingredienti cosmetici naturali da utilizzare nelle creme solari.
—
rECOver è un progetto di economia circolare nato nei laboratori del CNR di Faenza. Il team multidisciplinare mette insieme mondo della ricerca e competenze di natura economica e di business. Per scoprire di che si tratta abbiamo intervistato i founder del progetto.
#LifeScience
Di che cosa si occupa rECOver?
rECOver è un progetto di recupero di scarti dell’Industria ittica per la realizzazione di ingredienti cosmetici naturali in grado di proteggere dalle radiazioni UV. Nello specifico parliamo di ingredienti che possono essere utilizzati nelle creme solari. Anche nel nostro nome, che riprende l’inglese “recuperare”, abbiamo messo in maiuscolo la parte “ECO” perché si tratta di un progetto di economia circolare: noi siamo in grado di riutilizzare degli scarti che al momento devono essere smaltiti come rifiuti, così facendo le aziende risparmiano perché sono sollevate da questo onere che per loro rappresenta un costo. Inoltre il nostro è un prodotto compatibile con la salute delle persone e con l’ambiente. Le creme solari spalmate sulla pelle del bagnante, una volta disperse in mare, ad esempio, sono tossiche per alcune specie marine, per i pesci o per i coralli. In alcuni paesi infatti sono state bandite alcune tipologie di creme solari che andrebbero a danneggiare quegli ecosistemi così delicati.
Da chi è composto il team?
Il team è composto cinque persone. C’è Michele Iafisco, chimico, e Alessio Adamiano, scienziato ambientale: siamo esperti di scienza dei materiali e lavoriamo al CNR di Faenza. Con noi al CNR e nel team, c’è anche Francesca Carella, dottoranda in scienze dei materiali dell’università di Parma. Noi tre, occupandoci della parte di ricerca e sviluppo, abbiamo validato il prodotto. A completare la squadra c’è Tom Lavery, esperto di marketing, e Michela Munno, di formazione economica con un’esperienza in azienda. Il progetto è nato tra colleghi e si è allargato ad altre professionalità che abbiamo intercettato nella nostra cerchia di amicizie. Secondo la nostra roadmap dovremmo costituirci entro l’anno come spin-off del CNR.
Come è nata l’idea?
L’idea, come dicevamo, è nata dalle ricerche che abbiamo condotto e che stiamo ancora conducendo al CNR sull’uso degli scarti dell’Industria ittica per differenti applicazioni. Di formazione ci occupiamo di materiali biomedicali necessari per produrre dispositivi che devono essere utilizzati per la ricostruzione ossea. Questi materiali sono anche all’interno dei vertebrati, pertanto anche all’interno dei pesci. Per questa ricerca abbiamo ottenuto un finanziamento dal ministero delle politiche agricole che ci è servita per scoprire che gli scarti delle industrie ittiche potevano essere sviluppati per applicazioni biomedicali con performance paragonabili ai materiali sintetici. Un ulteriore passo avanti è stato capire che potevamo allargare il campo d’azione in ambito cosmetico perché ciò che ne è venuto fuori è risultato fotoprotettivo delle radiazioni UV. Con scarti ittici, intendiamo principalmente le lische del pesce: si tratta di uno scarto delle scarto ovvero ciò che rimane della parte polposa ricca di proteine utilizzata per il pet food. Un rifiuto a tutti gli effetti che noi andremmo a recuperare.
A che punto siete?
Il prodotto attualmente è stato validato su scala di laboratorio. Abbiamo depositato il brevetto della tecnologia e stiamo aspettando l’esito della domanda. In questo momento siamo impegnati a valutare le migliori fonti di approvvigionamento per lo scarto: ci rivolgiamo principalmente alle aziende che si occupano di acquacoltura cioè che allevano il pesce e lo trasformano in alimento e a quelle che trattano pet food. Inoltre, abbiamo stretto anche delle partnership con aziende cosmetiche interessate al nostro prodotto. A questo punto quello che ci serve è un finanziamento per realizzare l’impianto pilota di produzione: batteremo tutte le strade, sia quella dei bandi pubblici che quella degli investitori privati.
Quali sono i punti di forza di rECOver e quali, invece, i punti di debolezza?
I punti di forza sono sicuramente quello di produrre materiali biocompatibili e biodegradabili, visto che sono di origine naturale, rispettosi dell’ambiente e della salute delle persone. In questo periodo storico, il consumatore è più attento a questi temi e questa maggiore consapevolezza per noi rappresenta un’interessante fetta di mercato. Di fatto il nostro prodotto risponde ai principi dell’economia circolare e racconta una storia perché riutilizza ciò che altrimenti sarebbe buttato. Lo svantaggio di rECOver è l’avere bisogno di un investimento più oneroso rispetto ad altre startup che magari si occupano di digitale o che non richiedono un impianto per la produzione. La caccia al finanziamento per partire di sicuro ci impegnerà molto.
Un bilancio del percorso della Start Cup?
Noi abbiamo frequentato il percorso intensamente partecipando a tutti gli incontri con la presenza di almeno due membri del team. Abbiamo fatto tesoro di molti spunti interessanti che metteremo in pratica quando costituiremo la nostra impresa, come per esempio il tema delle risorse umane e dei contratti. Per noi inoltre è stata un’occasione per esercitare la nostra creatività anche con gli altri team e, grazie a questa formazione, abbiamo imparato a fare squadra tra di noi. Un altro aspetto da non sottovalutare sono le scadenze: avere delle consegne da rispettare aiuta molto a rimanere concentrati sul progetto.
Cosa vedete nel vostro futuro?
Il nostro sogno è sicuramente quello di riuscire a portare sul mercato un prodotto che è frutto della nostra ricerca. L’abbiamo visto prima su carta, poi è passato in laboratorio, ora è qua: una delle soddisfazioni maggiori di un ricercatore è vedere crescere il proprio progetto con una ricaduta concreta. Il nostro prodotto offre una soluzione a un problema ambientale con un’attenzione alla salute. Ora parliamo di una nicchia ma ci piace pensare che un giorno questa applicazione sarà diffusa su scala più ampia. Si tratterebbe di mettere a sistema una tecnologia ideata da noi. Per noi rECOver è modo per sviluppare nuovi prodotti che seguono la stessa filosofia di recupero degli scarti. È un punto di partenza che ci permette anche di continuare a studiare. In fondo è quello che abbiamo scelto di fare nella vita.
«È bello vedere la nostra ricerca diventare un progetto con una ricaduta concreta sull’ambiente e sulla salute delle persone. Il nostro sogno è continuare su questa strada e mettere a sistema la nostra tecnologia su scala più ampia»