SiNBioSys – Intervista ai finalisti

SiNBioSys
La ricerca sui nanomateriali produce quantum dot di silicio: la startup ha messo a punto un metodo di sintesi che ha molteplici applicazioni.

SiNBioSys è un progetto che nasce nel dipartimento di Chimica dell’Università di Bologna. La startup è arrivata in finale proponendo un progetto per ottenere quantum dot di silicio con una metodologia di sintesi brevettata. Ce ne parla Francesco Romano, co-founder di SiNBioSys. #LifeScience

Di che cosa si occupa SiNBioSys?
SiNBioSys produce quantum dot di silicio. L’acronimo significa Silicon nanocrystals Bioimaging System. Si tratta di nanomateriali luminescenti che quando assorbono la luce rilasciano l’energia assorbita tramite luce di diversi colori. E questa è la loro particolarità. Al momento sono prodotti con il cadmio e con il piombo, ma essendo metalli pesanti, sono tossici, oppure con l’indio. Quest’ultimo è un materiale raro e quindi rende la produzione piuttosto costosa nonostante l’indio abbia una sua filiera del riciclo. La nostra innovazione sta nel produrli con il silicio, un materiale facilmente reperibile dato che sulla crosta terrestre è il più presente. L’uso del silicio non è una novità visto che nell’industria elettronica si usa da almeno quarant’anni, basti pensare al nome dato alla Silicon Valley. Il nostro prodotto sarebbe in grado di far fronte a una serie di criticità esistenti: da un lato si ottiene da un materiale diffuso e poco costoso, dall’altro quando il silicio viene ridotto a dimensioni nanometriche e diventa un quantum dot, rivela una serie di proprietà grazie alla sua luminescenza.
 
Da chi è composto il team?
Da me Francesco Romano e da Paola Ceroni. Veniamo entrambi dal dipartimento di Chimica “Ciamician” dell’Università di Bologna: io sono ricercatore di chimica organica mentre lei, fotochimica, è professoressa ordinaria. Per questo, da programma, il prossimo anno ci costituiremo con spin-off partecipato dall’Università di Bologna.

Come è nata l’idea?
Siamo partiti nel 2012 con un progetto europeo mirato a capire come funzionavano questi quantum dot e come potevano risolvere i problemi posti sul piatto. Da quel giorno sono passati otto anni e in questo lasso di tempo abbiamo vinto un altro finanziamento per capire se per questo materiali erano possibili vere e proprie applicazioni. In questo progetto erano coinvolti anche dei professori di Management dell’Università di Bologna e con loro abbiamo condotto una ricerca di mercato per capire chi già li produceva, quali potevano essere i costi etc. scoprendo che effettivamente c’era margine per lo sviluppo di possibili applicazioni. Il problema vero è che i quantum dot di silicio sono difficili da ottenere ma noi abbiamo trovato un metodologia di sintesi che ci consente di produrli in maniera meno costosa anche perché la materia prima, come dicevamo sopra, è molto diffusa. Da anni abbiamo avviato partnership con delle industrie che di volta in volta ci fanno scoprire le potenzialità del quantum dot di silicio con applicazioni nei pannelli solari oppure, una delle più interessanti, nei sistemi di riciclo della plastica.

A che punto siete?
Abbiamo brevettato la sintesi di alcuni particolari quantum dot per un’applicazione generale poi per l’utilizzo come marker per il riciclo della plastica. L’idea sarebbe quella di rivenderli inizialmente ad altri ricercatori dal momento che è molto difficile produrli offrendo loro una soluzione al reperimento. L’obiettivo è però quello di contattare una grande multinazionale chimica per venderli per nostro conto. Avere una solida rete di vendita ci permetterebbe di continuare a dedicarci alla ricerca, esternalizzando l’aspetto legato al marketing e al business. Su questo fronte abbiamo già un contatto interessato. Avere partner industriali per noi sarebbe strategico: dando in licenza il brevetto potremmo concentrarci in laboratorio impegnandoci in quello in cui siamo più preparati.

Quali sono i punti di forza di SiNBioSys e quali, invece, i punti di debolezza?
Il materiale che produciamo si presta a molteplici applicazioni: questo è un punto di forza e un punto di debolezza al tempo stesso perché il rischio è quello di disperdere molte energie cercando di perseguire tutte queste strade. Inoltre, di fronte alla parola “nano” ci sono ancora dei pregiudizi, il mercato non è ancora maturo. Questo scenario è comune in Europa mentre in America sono più avanti di noi. In Italia c’è anche una normativa di riferimento molto stringente soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo della plastica riciclata in ambito alimentare. Va da sé che è difficile vendere un prodotto come il nostro che ha già un pre-requisito iniziale come ostacolo.

Un bilancio del percorso della Start Cup?
Sicuramente utile. Il nostro “mentor” ci ha dato un contatto di un’azienda che fa al caso nostro. Il network è un elemento molto interessante sia per quanto riguarda i docenti sia per i compagni di avventura. L’ambiente è molto stimolante e questo percorso ci ha aiutato ad accendere una serie di lampadine a cui chi fa ricerca difficilmente presterebbe attenzione.

Cosa vedete nel vostro futuro?
Veniamo da un percorso di ricerca molto avanzato che ha potuto godere di fondi molto importanti. Essendo arrivati fin qua ci dispiacerebbe mollare tutto anche perché siamo convinti della bontà del nostro progetto. Non si tratta di affermazione personale ma di liberare la nostra ricerca nel mondo in modo tale che possa essere finalmente utilizzata. Abbiamo investito molto tempo su questo e vediamo i vantaggi oggettivi della nostra scoperta. Vorremmo che i tempi fossero già maturi per questo ma ci sono delle difficoltà evidenti. Nel tempo in cui noi siamo arrivati a questo punto, il nostro partner americano ha aperto e venduto due spin-off che si occupano di quantum dot di silicio. Quello che auspichiamo è un cambio di mentalità, non solo per i nostri eventuali interlocutori ma anche per noi. Noi ricercatori facciamo fatica a pensare come imprenditori e su questo dobbiamo lavorare. Il nostro obiettivo è pertanto quello di avviare una startup che produce questo materiale: ci piacerebbe essere i primi in Italia a lavorare nell’ambito dei nanomateriali della chimica.

«Con questo progetto vogliamo liberare la ricerca nel mondo perché vediamo i vantaggi oggettivi della nostra scoperta. Diventare imprenditori sarà una sfida ma ci lavoreremo. Avviare una startup nell’ambito dei nanomateriali della chimica è il nostro obiettivo.»