MUSH – Interviste ai finalisti

Coltivazione urbana di funghi di varietà rare e disponibili in delivery. Ci spiega meglio di cosa si tratta Leonardo Dal Pont, il founder della startup

Di che cosa vi occupate?

I protagonisti della nostra startup sono i funghi. Abbiamo in mente una coltivazione urbana di varietà mai viste sul mercato italiano. Il fungo come nuovo superfood insomma, disponibile anche in delivery.

L’idea di MUSH è quella di coltivare funghi in piccoli spazi al chiuso, nelle zone periferiche delle grandi città. Le varietà che coltiviamo sono molto particolari, di forme e colori molto cool nonché ricche di vitamine e sali minerali. Ci inseriamo in un mercato, quello italiano, finora molto limitato in termini di varietà e in cui non c’è stata finora attenzione verso le proprietà nutritive. La vendita avverrà mediante piattaforma e-commerce con servizio di delivery e opzione di abbonamento.

Durante l’estate il nostro progetto ha subito varie evoluzioni e così anche il suo nome. Ci chiamiamo MUSH: il nome è nato per caso poi è diventato calzante quando l’idea ha preso la forma che ha ora. E poi suona bene, questo è indubbio.

Da chi è composto il team?

Al momento siamo in quattro e siamo tutti under 30. Ci sono io, Leonardo Dal Pont, sono il founder e ho un Master in Filosofia del Cibo. Mi occupo del coordinamento generale e delle relazioni. Ho scritto il progetto che inizialmente riguardava la coltivazione in verticale di erbe officinali per l’industria nutraceutica e ho iniziato a fare recruiting su Linkedin, selezionando il team. Saeed Karimzadeh, dottorando al Politecnico di Milano in Ingegneria Ambientale e Agricoltura urbana, è l’addetto alla calcolatrice cioè copre la parte legata al data management, all’efficienza energetica e modelling. Gianmaria Dimartino e Martina Lupo sono invece i nostri due agronomi e seguono la parte più tecnica relativa alla coltivazione: hanno rispettivamente un master in Plant Sciences alla Statale di Milano e in Biotecnologie e produzioni vegetali all’Università di Bologna. Per la parte economico-finanziaria, invece,  ci appoggiamo a un consulente esterno.

Come è nata l’idea?

Come spesso accade siamo partiti da un’idea molto diversa. Volevamo progettare una vertical farm che, anziché food, producesse erbe officinali per l’industria cosmetica e nutraceutica. Durante il percorso di validation, in parte intrapreso anche durante questi mesi di formazione ma con uno sguardo ad ampio raggio, abbiamo però realizzato che, per quelli che sono i costi attuali di queste tecnologie, diventa parecchio complesso raggiungere una sostenibilità economica lavorando solo in B2B.

Abbiamo allora ricercato una materia prima diversa, coltivabile con tecnologie low tech e all’interno delle città. Il fungo è emerso come opzione interessante, abbiamo approfondito e ora rappresenta il core business. Il  mercato dei funghi infatti è in rapida espansione, esistono migliaia di varietà non conosciute, e le proprietà nutrizionali di molte di queste sono davvero notevoli. Ammetto anche che durante l’estate abbiamo passato qualche settimana un po’ demoralizzati ma alla fine questa nuova idea ci ha conquistati e ridato una grande energia. In definitiva potremmo dire che è spuntata come un fungo.

A che punto siete?

Sicuramente siamo all’inizio di un bel percorso, anche perché avendo cambiato quasi completamente direzione dobbiamo ripercorrere anche le prime fasi di sviluppo. Al momento siamo al punto di partenza, cioè alla validazione del problem-solution fit. Bisogna cioè confermare che il nostro target di riferimento senta davvero la voglia o l’esigenza di più varietà e che in generale il pubblico sia pronto ad accoglierne di nuove e così particolari. I primi dati sono comunque molto incoraggianti.

In parallelo stiamo facendo ricerca sui substrati usati nella coltivazione e sugli impianti di controllo ambientale.

Da un certo punto di vista le fasi iniziali sono anche le più stimolanti, le più creative. Direi allora che siamo a un buon punto!

Quali sono i punti di forza di Mush e quali, invece, i punti di debolezza?

Mi permetto di dire che la nostra idea è davvero cool. Abbiamo in mente di commercializzare funghi blu e rosa, con forme davvero eccentriche. Credo che l’esclusività del prodotto sia il nostro grande punto di forza. Certo è che rimane una scommessa perché il fungo viene ancora percepito come una normale verdura, molto stagionale e piuttosto «vecchia» cioè la maggior parte della gente lo lega a un concetto di alimentazione poco moderno, relegandolo a un piatto di contorno o a ricette della tradizione. Un scommessa che però, organizzandoci al meglio, siamo sicuri di poter vincere.

Vi siete trovati a progettare una startup in tempi di pandemia: come ha inciso questo nel vostro lavoro?

Da un lato ci è mancato molto il confronto diretto, in carne e ossa, che dà alle conversazioni sempre quel plus di emozioni e coinvolgimento. Gli schermi sono piatti, diciamocelo. D’altrocanto però abbiamo potuto fare riunioni a orari oggettivamente improponibili e trovarci più spesso di quanto avremmo potuto fare in un altro contesto.

Un bilancio del percorso della Start Cup?

Fondamentale, c’è poco da discutere. Ci ha reso molto più concreti, efficienti e consapevoli di quel che davvero significhi aprire un’azienda. Un percorso di realizzazione a tratti drammatico, lo confesso, ma senza saremmo rimasti ancora su Marte. La Start Cup ci ha fatto atterrare sul pianeta Terra. In mezzo ai funghi tra l’altro.

Cosa vedete nel vostro futuro?

Nel nostro futuro vediamo una fantastica rete di piccole fungaie urbane e una percezione di questo alimento radicalmente diversa da quella attuale. Ci piacerebbe diventare gli apripista di una piccola rivoluzione del mondo food, per poi continuare a innovare portando l’agricoltura sempre più vicina alle case e alle persone. Perché alla gente piace ma soprattutto noi ne siamo entusiasti!