Interviste ai finalisti | LUXIA
Soluzioni di realtà aumentata e virtuale per salvaguardare la salute fisica e mentale dei lavoratori del comparto industriale. Ce ne parla Riccardo Karim Khamaisi.
Di che cosa vi occupate?
Abbiamo pensato a un sistema integrato hardware – software per prevenire un malessere sul posto di lavoro che può essere sia di natura posturale sia di carattere cognitivo. Il nostro progetto si chiama infatti Luxia che sta per «Leveraging User eXperience In Advance» e gioca con il concetto di luce: vogliamo infatti accendere i riflettori su un disagio sempre più diffuso dovuto a una mentalità lavorativa che potremmo definire «tossica» che a volte ci consuma senza lasciarci più le forze. La nostra idea di impresa mira a riportare al centro dei moderni sistemi industriali la persona, con tutti i suoi bisogni e le sue peculiarità, per facilitare la progettazione di prodotti e/o processi ergonomici e a più alta usabilità.
Andando nel particolare, come funziona la vostra soluzione?
Abbiamo studiato dei dispositivi indossabili minimamente invasivi che che ci permettono di analizzare a 360 ° la persona, «ingegnerizzandola». Scherzando, potremmo dire che vogliamo creare dei piccoli Iron Man. È un settore su cui abbiamo una forte competenza. Conosciamo molto bene infatti sia i sistemi industriali, specialmente quello dei settori del manifatturiero, dell’automotive e dell’aerospaziale, sia le nuove tecnologie, realtà aumentata e virtuale, che trovano applicazione in campo ergonomico. Quello che nella nostra attività di ricerca all’università abbiamo riscontrato è che non si presta la necessaria attenzione a questi aspetti. Vogliamo che il benessere della persona sia al centro dei processi di progettazione. I casi sono tantissimi. Ci sono i limiti di un macchinario che, per qualche motivi di carattere fisico, nonostante l’impegno del lavoratore, non permettono il completamento di una mansione. Se riescono però, possono farlo a discapito della salute. E poi c’è il coinvolgimento cognitivo. Lo dice la Comunità Europea: quasi un terzo della popolazione soffre di stress e di situazioni emotivamente difficili sul posto di lavoro. Tutto questo ovviamente comporta una spesa per le tasche del contribuente: riguarda le malattie muscolo-scheletriche, parliamo del solo aspetto posturale, nella loro gestione ci costano qualcosa come 240 miliardi.
Da chi è composto il team?
Luxia nasce da un’idea di Fabio Grandi, assegnista di ricerca postdoc presso il dipartimento di ingegneria «Enzo Ferrari» di Modena e Reggio Emilia, esperto in Virtual Prototyping & Ergonomics. E poi ci sono io, Riccardo Karim Khamaisi, dottorando presso lo stesso dipartimento su tematiche di profilazione dell’esperienza utente e sua integrazione con tecnologie di realtà aumentata e virtuale nonché suo fedele compagno di ricerca. Trattiamo queste tematiche da anni che riteniamo essere di estrema importanza non solo nel mondo dell’industria ma potenzialmente per ogni settore professionale. Ciò che ci muove è la convinzione che il lavoro deve essere un momento di realizzazione della persona e non una sofferenza. Purtroppo ci rendiamo conto che molto spesso non è così.
Come è nata l’idea?
Sembrerà banale eppure nasce proprio da una lampadina accesa. Abbiamo avuto negli ultimi tempi un incendio presso il nostro dipartimento che ha messo fuori uso il nostro laboratorio. In quella situazione di forzata inattività ci si è accesa una luce. «Ha senso tutto quello che stiamo facendo» ci siamo chiesti, sentendoci un po’ come Forrest Gump che quando smette di correre dice «sono un po’ stanchino» realizzando quanto aveva fatto fino a quel momento. Sentivamo quindi il desiderio di metterci alla prova, uscendo quindi dalla quattro mura del laboratorio.
A che punto siete?
Ci sentiamo come nel bel mezzo di una marea. Da quando ci siamo buttati su questa idea gli impegni, già peraltro numerosi, si sono moltiplicati e il tempo per lavorare al progetto sul lato tecnico si è ridotto. Siamo concentrati al momento sulla ricerca di un valore economico alla nostra idea di impresa. A noi però piace mettere le mani in pasta e di sicuro vorremmo essere focalizzati più sull’implementazione che sulla gestione del progetto. Acquisita questa consapevolezza, stiamo cercando di capire come e quando costituirci, trovando il momento più opportuno non solo in funzione del mercato ma anche dello stato di maturità della nostra soluzione. Puntiamo comunque a chiudere nei prossimi mesi per essere pronti e organizzati nel corso del 2024.
Sul fronte dell’innovazione e della transizione ecologica, quali sono i vostri punti di forza?
Di sicuro la tecnologia e la sostenibilità sociale della nostra proposta. Il nostro dispositivo mira a risolvere molti dei punti critici del tessuto lavorativo, come ad esempio il gender gap dal momento che nel mondo industriale molte operazioni ancora sono di difficile esecuzione per una donna. Vogliamo promuovere processi e metodi di lavoro più tarati sulla persona prevenendo l’assenteismo e le malattie legate sia allo stress e ai burnout lavorativi sia alla postura. Un altro aspetto da non trascurare è l’impatto ambientale: si supera il concetto di prototipo di un prodotto o di una linea, garantendo comunque un ottimo livello di realismo e fruizione delle stesse in ambiente virtuale.
I punti di debolezza invece?
Una delle criticità è la necessità di profilare la persona acquisendo dati fisiologici e la conseguente gestione di questo dato biometrico. Un tema da affrontare anche in vista del prossimo «AI Act», per noi un fondamentale crocevia per capire se poter affiancare anche questa tecnologia al nostro progetto. Occorre anche considerare la ricettività di una soluzione di questo tipo da parte del mondo industriale: ci rendiamo conto che l’accoglienza non è scontata e di sicuro limitata inizialmente alle grandi aziende dotate di una certa visione.
Cosa vedete nel vostro futuro?
Miriamo a portare la nostra soluzione anche a mercati e infrastrutture lontane dal contesto industriale, oltre che continuare la nostra opera di sensibilizzazione sull’ergonomia e sulla progettazione smart e inclusiva. Ci sono tanti filoni della nostra ricerca associata a questo progetto che vorremmo industrializzare e portare al grande pubblico: di sicuro ci poniamo come una realtà altamente innovativa, stimolante per coloro che vorranno imbarcarsi con noi in questo grande progetto oltre che di eccellenza, data la scarsa diffusione delle tecnologie di realtà aumentata e virtuale in termini di offerta.
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Leggi tutte le interviste ai finalisti dell’edizione 2023 a questo link.