Sara Monesi

Sara Monesi: la StartCup non si ferma

Se c’è qualcosa che il Coronavirus ci sta insegnando in questo periodo complicato è la centralità della ricerca scientifica, delle competenze, del trasferimento dei risultati maturati all’interno delle Università e dei Centri di Ricerca e il contributo che possono dare al benessere delle società, ma anche alla loro crescita economica.

Anche per questo che ci sono attività che non devono fermarsi: tra queste senza dubbio quella di supportare la nascita di startup nate in seno alle Università e ai centri di ricerca, perché questa attività è uno dei modi per valorizzare la ricerca da un altro punto di vista. Una vision che sul territorio regionale ha pagato, basti pensare a imprese come la Siare di Crespellano che produce ventilatori polmonari o la Dimar di Medolla specializzata in dispositivi medici come i caschi per pazienti che soffrono di insufficienze respiratorie, oppure BUILTI, startup bolognese che ha messo a punto un’app per il distanziamento sociale dei lavoratori. Solo per citare esempi di imprese che, grazie alla ricerca e all’innovazione, riescono ad affrontare in modo più reattivo questo periodo di emergenza.

(NdR: sul portale www.emiliaromagnastartup.it stiamo raccontando le innovazioni e i nuovi servizi messi in campo dalle startup regionali per fronteggiare l’epidemia da Covid-19).

Dopo l’uscita del bando della Start Cup Emilia-Romagna, rivolta per la seconda edizione consecutiva a progetti che possano portare sul mercato i risultati di ricerca, Sara Monesi, Startup Unit Manager di ART-ER, ci offre una riflessione sulla Start Cup tra bilanci, obiettivi e sguardo rivolto al futuro pur in questa fase di ripensamento e di necessaria riorganizzazione.


Immaginiamo che non sia facile gestire un programma come quello della Start Cup in questo contesto di emergenza

Senza dubbio non sarà facile, soprattutto per alcune incognite organizzative legate al percorso formativo, che dovrà conciliarsi con le direttive sulla sicurezza. Ma abbiamo deciso di andare avanti e di proseguire, nonostante le difficoltà, anche per lanciare un messaggio positivo ai giovani che studiano e lavorano nelle Università e nei Centri di Ricerca. Magari in questo periodo di attività ridotta avranno la voglia di tirare fuori idee che avevano nel cassetto da un po’, anche per pensare a un futuro diverso per il nostro pianeta.


Possiamo fare un bilancio dell’edizione 2019?

L’anno scorso abbiamo deciso di riportare la competizione alle origini, privilegiando le idee che venivano dal mondo della ricerca. Del resto noi siamo affiliati al PNI – Premio Nazionale per l’Innovazione che da quasi vent’anni si pone l’obiettivo di diffondere la cultura d’impresa in ambito accademico e di favorire il rapporto tra i ricercatori, il mondo dell’impresa e della finanza. Abbiamo avuto meno candidati rispetto alle edizioni precedenti, ma la qualità delle proposte era molto alta. Alla luce di quello che sta succedendo adesso, effettivamente, possiamo confermare che si è trattato di una scelta strategica: la ricerca in questo momento di crisi mondiale è un settore su cui investire.


Facendo riferimento alla scorsa edizione, qual è il settore che si è dimostrato più propositivo?

Sicuramente le Life Sciences, ma è una tendenza che si registra da alcuni anni. Se andiamo ad analizzare i numeri della scorsa edizione, su venti team selezionati ben nove proponevano idee provenienti da questo settore, quindi quasi un 50%. La restante parte è distribuita in sei progetti nell’Industrial, tre nell’ICT e due sul Cleantech&Energy. Questo sta a dimostrare quanto sia forte il comparto sul nostro territorio, un’eccellenza che produce risultati importanti che possono essere trasferiti al mondo industriale.


Quest’anno si replica con alcune novità. Quali sono?

La situazione, lo ripeto, ci imporrà di ripensare a tutta la macchina organizzativa. Tuttavia possiamo dire che per questa edizione abbiamo metteremo a sistema alcune sperimentazioni emerse dal lavoro di co-progettazione fatto lo scorso anno con tutti i nostri partner. Tra queste la collaborazione con Confindustria Emilia Area Centro, Upi Parma e Unindustria Reggio Emilia per offrire ai gruppi un confronto con imprese che conoscono il mercato, stanno facendo investimenti per l’innovazione e guardando ai prodotti e servizi del futuro. Tra le novità, invece, abbiamo deciso di ammettere alla fase finale anche due gruppi imprenditoriali, che si andranno ad aggiungere ai dieci che saranno selezionati attraverso il nostro percorso formativo e di coaching.

Lo facciamo non solo perché ci sono altri programmi molto validi sul territorio, quindi non vogliamo sottrarre loro tempo alla ricerca, ma anche perché al PNI di quest’anno, che si terrà a novembre a Bologna, vogliamo portare l’eccellenza della ricerca. Tra l’altro, la Regione Emilia-Romagna ha lanciato un bando l’anno scorso in cui ha offerto trenta borse di ricerca a persone provenienti dagli atenei del territorio per trasformare un risultato della ricerca in un prodotto o servizio.

Questo ha permesso da un lato ad alcuni team di dedicarsi cuore e anima allo sviluppo del piano imprenditoriale e all’analisi della fattibilità, dall’altro a stimolare le università ponendo le premesse perché questo processo di scouting diventi permanente. Abbiamo pensato inoltre di portare i team in visita a imprese di successo del nostro territorio nate a loro volta come startup. Spesso i ricercatori fanno fatica a immaginarsi imprenditori: vogliamo quindi essere da stimolo offrendo loro un’apertura del mindset, facendoli ragionare sulla diversità dei rispettivi ruoli.


Ci può spiegare meglio questo aspetto?

Molto spesso i giovani laureati oppure quelli impegnati in un dottorato o in un percorso di ricerca sono in un limbo che permetterebbe loro di cambiare prospettiva. Potrebbero decidere di rimanere nell’ambito della ricerca ma di completare il team con capacità e competenze diverse come quelle manageriali o più legate allo sviluppo industriale dei prodotti. Per questo abbiamo introdotto le visite, fermo restando che il nostro compito è quello della sorveglianza favorendo il giusto rapporto tra i team che si candidano alla Start Cup e le imprese. Le grandi aziende, trainate dal business e dal mercato, portano i ricercatori a confrontarsi con i problemi reali da risolvere ma non vogliamo che fagocitino la loro capacità di ricerca né tantomeno vogliamo far diventare la collaborazione un mero rapporto di fornitura che potrebbe tarpare loro le ali. È un equilibrio delicato che andrà definito di caso in caso e sorvegliato.


Che caratteristiche devono avere i candidati alla Start Cup?

Innanzitutto i team non devono avere costituito la loro startup. Se devo indicare un profilo, devono essere persone che pensano che uno o più risultati della loro attività possano diventare un prodotto o un servizio innovativo. Devono essere dei team in cui qualche componente ha delle competenze complementari a quelle di tipo tecnico-scientifico; se non ce ne sono il gruppo deve capire l’importanza di integrare le risorse necessarie. Un persona nel team deve potersi dedicare a tempo pieno allo sviluppo dell’idea imprenditoriale almeno per un periodo di tempo tale da permettere di comprenderne e valutarne la fattibilità. Su questi aspetti lavoreremo molto perché la definizione dei ruoli è determinante. Alcuni paragonano una startup a un matrimonio e in parte è così: si tratta di un impegno preso con i soci, con i clienti, con i fornitori, con le banche che non può essere preso alla leggera. Per concludere, lo startupper ideale è una persona aperta, curiosa, attratta dalle sfide e con la voglia di cambiare il mondo.


Bologna ospiterà il PNI il prossimo novembre. Ci sono aspettative particolari in merito?

Anche gli organizzatori del PNI stanno lavorando ad un’edizione del premio che dovrà tenere conto della situazione. Ma è certo che sarà un’occasione importante per dare visibilità all’eccellenza dell’innovazione del paese che dovrà confrontarsi con sfide nuove, da tutti i punti di vista.