Corporate law per startup, i consigli dell’esperto

Quando si decide di fondare una startup è molto importante non trascurare gli aspetti legali legati al proprio progetto. Tra gli appuntamenti formativi rivolti ai finalisti della Start Cup Emilia-Romagna 2021 abbiamo avuto modo di accendere i riflettori su alcune questioni che potrebbero rimanere nell’ombra legati all’assetto societario, ai contratti da stipulare e alle clausole da negoziare.

La giornata di approfondimento è stata tenuta da Fabio Azzolina, avvocato specializzato in startup e founder di Startup Legal e dello studio LA&P, al quale abbiamo chiesto di indicarci su quali punti occorre stare attenti prima di incappare in qualche brutta sorpresa sul fronte legale.

Ecco i suoi consigli.

Verificare dal punto di vista giuridico la fattibilità della propria idea

Ci sono indagini che in fase di avvio si possono compiere facilmente senza sborsare migliaia di euro in avvocati. Ci possono essere progetti che da un punto di vista logico, economico o commerciale possono avere senso ma non è detto che siano realizzabili in Italia o in altri paesi perché magari sono necessarie autorizzazioni particolari o requisiti di carattere professionale. Quando si prepara il business plan o il pitch si mette sempre l’accento – giustamente – sul modello di business, sul tasso di penetrazione di mercato o sulle revenue streams ma poi ci si preoccupa meno dei rischi legali annessi e connessi. All’inizio, almeno per farsi una prima idea, può essere sufficiente una ricerca su Google o rivolgersi agli uffici a volte presenti sul territorio che si occupano di creazione di impresa.

Costituire la società: non è detto che sia sempre bene farlo il prima possibile

Io sono di una teoria completamente opposta a quello che viene detto di solito: la società va costituita il più tardi possibile ma sempre prima di farsi male dal punto di vista economico, fiscale o finanziario. In soldoni, non costituitevi a meno che non ci sia sul piatto una grossa commessa, un investitore che voglia entrare a tutti i costi o se state per prendervi delle grosse responsabilità debitorie. Su questi temi è facile farsi venire l’ansia ma sappiate che aspettare si può. Per tenere fermi soldi e contratti si può firmare una LOI ovvero una lettera di intenti da trasformare poi in contratti commerciali a costituzione avvenuta. Attenzione però a non “simulare” l’esistenza di una società se non siete ancora costituiti: le conseguenze possono essere molto spiacevoli.

Tutelarsi con una scrittura privata

Prima di costituire la società, consiglio per esperienza di mettere sempre per iscritto tutti gli accordi di future allocazioni di quote. Bisogna contemplare ogni eventualità, nella vita e nella professione di ciascuno le condizioni possono cambiare da un anno all’altro e su questo bisogna tutelarsi con una clausola che potremmo ricondurre a una sorta di bad leaver. In parole povere, meno fai, meno quote prendi, possibilmente anche nessuna.
Tutto questo va formalizzato con una sorta di patto parasociale, un termine che potrebbe anche essere improprio nel momento in cui non c’è ancora una società. Si tratta banalmente di una scrittura privata in base alla quale si prendono accordi per strutturare l’effettiva governance della società. Molto spesso su questo ci sono delle remore perché si ha timore di incrinare amicizie o rapporti ma, permettetemi di dire, sono solo alibi. Il contratto va fatto nel momento del «matrimonio» cioè quando si va tutti d’accordo, avendo cura di avere poi gli strumenti da usare materialmente nel momento in cui possono insorgere difficoltà e, nello scenario peggiore, un «divorzio». È il classico patti chiari, amicizia lunga: nella fase di stesura potrebbero venire fuori dei profili organizzativi che prima non erano emersi. Mettere nero su bianco è utile anche per fare ordine tra le aspettative dei membri del team.

L’organizzazione delle quote

Uno dei suggerimenti che mi capita spesso di dare è quello di non essere gelosi delle proprie quote perché, scherzo su questo, tanto lo 0% di 0 è sempre 0. Attenzione però: non bisogna neanche regalarle come se non fossero vostre perché gli investitori non vedono di buon occhio l’eccessiva parcellizzazione della cap table (elenco soci ovvero una tabella che definisce la divisione delle quote tra i soci). Il mio consiglio è quello di dare l’equity in fase di costituzione a persone che saranno coinvolte con continuità nella startup come i co-founder, poi ci sarà tempo per darlo a terzi soggetti con piani di incentivazione. Nella fase costitutiva bisogna creare il cuore del team e lo si fa anche con l’organizzazione delle quote societarie.

A caccia dell’investitore

Ci sono alcuni accorgimenti da avere per trattare con gli investitori specialmente quando si è all’inizio. Innanzitutto in questa fase può essere sufficiente frequentare gli eventi giusti dedicati alle startup o fare una ricerca su Linkedin e contattare direttamente possibili investitori: in questo modo si dimostra anche intraprendenza. Una volta trovato un indirizzo, mandate il pitch: se l’investitore è interessato, vi risponderà di sicuro. Quando lo andate a incontrare però, mai mandare come prima cosa un NDA da firmare: si partirebbe con il piede sbagliato e si verrebbe tacciati di essere inesperti e insicuri.

Negoziare con cautela: mai essere aggressivi

Quando ci si vede attorno a un tavolo per negoziare i termini dell’investimento, il mio consiglio è quello di non essere mai aggressivi. Potremmo mandare a monte la trattativa o, ancora peggio, trovarci in società qualcuno con cui abbiamo già litigato. In questo caso, essere affiancati da un legale vi aiuta a gestire la situazione spiegandovi che molte clausole da inserire nel contratto sono in realtà una reciproca tutela. Per esempio, potrebbe essere richiesta la stipula di un’assicurazione directors and officers che vada a coprire tutte le responsabilità come amministratore. Non parliamo di grandi cifre ma di una somma che dà l’opportunità di operare con tranquillità ma che rappresenta, al tempo stesso, anche una tutela nei confronti degli altri soci. La negoziazione è piena di questi tipi di clausole che possono sembrare capestro ma alla fine, quando si va a vedere bene, l’ambito di applicazione è così limitato che è come se non ci fossero. In sintesi, farsi vedere aggressivi non ha senso: su molte cose la startup può darla vinta all’investitore, senza bruciare quella leva negoziale che magari potrebbe essere usata su altri fronti. Molto spesso sono delle convenzioni che è giusto trattare chiedendo chiarimenti ma l’importante è usare il piglio giusto.