Intervista a Pasini, HR Department Development di UNITEC

Il motto di Unitec Spa è «noi lavoriamo per i vostri risultati». È qui che risiede la chiave del successo del gruppo specializzato nella progettazione e realizzazione di tecnologie per l’automazione industriale, partner dell’edizione 2021 della Start Cup Emilia-Romagna. Con quasi 100 anni di storia, l’azienda che ha il quartier generale a Lugo in provincia di Ravenna guarda con interesse a ciò che si muove nel mondo delle startup e ha deciso di mettere a disposizione della business plan competition oltre che un contributo in denaro anche l’esperienza nel produrre innovazione a livello internazionale.

Ci parla dei motivi di questa scelta Paolo Pasini, HR Department Development di Unitec.

Pasini, ci racconta cosa fa Unitec?

Noi produciamo macchine automatiche per la calibrazione e la selezione della qualità di frutta e verdura e, in particolare, siamo leader a livello mondiale per quanto riguarda i macchinari per la classificazione delle ciliegie. Quando è stata fondata nel 1924 a Massa Lombarda, l’azienda, che all’epoca si chiamava Dalle Vacche, ha fornito una risposta a un territorio che per primo ha cominciato a distribuire frutta e verdura inizialmente in Italia e poi in Europa. La produzione era talmente vasta che diventava necessario pensare non solo a una raccolta, ma anche ad un sistema complessivo di trattamento della frutta, tra cui la calibrazione e la selezione, di tipo industriale.

Siete stati e siete ancora dei grandi innovatori. È stato questo che vi ha spinto a sostenere la Start Cup Emilia-Romagna?

Da tempo siamo molto attenti al mondo delle startup, ci è sembrato quindi naturale partecipare mettendo in campo ciò che ci contraddistingue: la nostra grande esperienza in un settore tecnologico molto avanzato e l’internazionalizzazione. Uno dei problemi che incontra una startup, una volta superata la fase sperimentale, è quello di mettere a terra le idee. Noi vogliamo dare un contributo di fattibilità alla realizzazione dei progetti che vengono dal mondo della ricerca. In fondo è ciò che facciamo ogni giorno con i nostri clienti quando offriamo loro un quid in più per essere competitivi, qualcosa che non ci avevano richiesto ma che abbiamo trovato mentre lavoravamo per dare una risposta al loro bisogno.

Da un osservatorio privilegiato come il vostro, quali sono secondo voi i pro e i contro dell’ecosistema emiliano-romagnolo?

Sul fronte dell’innovazione, parliamo di un ecosistema complesso che ha delle eccellenze come il settore dell’automazione della robotica anche nell’agroalimentare che sfrutta tecnologie sofisticate specialmente nel campo dell’Intelligenza Artificiale. E non parlo solo di grandi aziende ma anche di realtà piccole e medie anch’esse molto evolute. C’è però un problema legato alla formazione: non abbiamo sufficiente personale per fare fronte a ciò che il mercato ci richiede e quando uso il plurale non mi riferisco solo a Unitec. L’innovazione non è un concetto metafisico o un portato del carattere, servono le persone. Il capitale umano è fondamentale, parlo di ingegneri ma anche di operai altamente specializzati. Sulle persone c’è un problema di competitività non solo interna ma anche internazionale. Per questo secondo noi va potenziata la cultura dell’educazione tecnica anche incidendo maggiormente sull’orientamento sulle famiglie degli studenti: non si tratta di una seconda scelta ma un’opportunità preziosa per avere una posizione, lavorativa e personale, soddisfacente.

Che giudizio potete dare delle startup che avete avuto modo di conoscere?

Le idee che abbiamo visto sono tutte frutto dell’osservazione della realtà, non sono progetti che seguono le mode. Tra i finalisti alcuni non avevano ancora raggiunto quel livello di consapevolezza necessario per offrire una risposta vera e concreta a problemi industriali. Il mondo dell’industria ha regole che guardano direttamente alla produzione. Un prodotto o servizio per funzionare deve essere scalabile, solo così avrà successo: il mercato, ricordiamolo, non fa sconti a nessuno.

Che rapporto ha Unitec con il mondo della ricerca?

Noi lo osserviamo da più punti di vista. Abbiamo all’interno dell’azienda un centro di ricerca e sviluppo che in questo momento vede ottanta ingegneri al lavoro in diversi settori ma non solo. Stiamo costruendo davanti al padiglione centrale della nostra sede un centro ricerche innovativo che oltre a comprendere una foresteria, alloggi, una biblioteca, una mensa, ospiterà un corso di meccatronica in collaborazione con l’Università di Bologna. Siamo consapevoli che non possiamo far crescere in azienda tutta l’innovazione di cui abbiamo bisogno quindi abbiamo rapporti con gli atenei dell’Emilia-Romagna e con i maggiori centri di ricerca del territorio. Noi facciamo la nostra parte: notiamo anche che ora c’è un dialogo tra ricerca e imprese. Fino a qualche anno fa erano due mondi che comunicavano con grande difficoltà.

 Come declinate il concetto di open innovation?

Al giorno d’oggi non è più una scelta ma un percorso obbligato: se un’azienda vuole evolvere deve innovare, se non lo fa, muore. Certo, bisogna aprirsi ma ci sono anche alcuni rischi connessi. Uno di questi è la riservatezza. Un problema che tuttavia si potrebbe superare ragionando in termini di sistema. Noi crediamo moltissimo nella dimensione etica del fare impresa, anche nella concorrenza. Per noi non è un’utopia: l’etica deve essere il substrato su cui si basano le relazioni che portano all’open innovation. O si cresce tutti insieme o non cresce nessuno.