K3RX Ceramics Extraordinary – Interviste ai finalisti

Realizzazione di un nuovo materiale resistente a temperature estremamente alte da impiegare nel mercato aerospaziale. 

Ce ne parla il co-founder Luca Zoli

Di che cosa si occupa la vostra startup?

Il nostro progetto nasce per soddisfare la richiesta avanzata dai grandi player del settore spaziale di veicoli sempre più performanti. In particolare, c’è l’esigenza in questo comparto di avere protezioni termiche e motori a reazione resistenti all’usura determinata dalle altissime temperature, oltre i 2000° C. In questo modo si possono abbattere i costi dell’uso commerciale dello spazio e facilitare le missioni scientifiche di esplorazione del cosmo. Ma non solo. Vogliamo andare incontro a tutti quelli che hanno necessità di materiali adatti a temperature estremamente alte, con prestazioni e una durata superiore agli attuali prodotti in commercio: possiamo fornire componenti innovativi, a usura quasi nulla, realizzati con una speciale ceramica ultra-refrattaria.

Da chi è composto il team?

Siamo in tre e ciò che ci guida e innanzitutto la passione. Diletta Sciti ed io siamo ricercatori del CNR e lavoriamo all’Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici – ISTEC – di Faenza e siamo gli inventori della tecnologia. Tuttavia senza Giorgio Montanari, altro membro del team, questa nuova tecnologia sarebbe rimasta solamente una bella ricerca scientifica: grazie alla sua esperienza ultraventennale come dirigente d’azienda con un EMBA alle spalle, è lui ad aver dato forma al progetto ideando il modello di business e seguendo la parte economico-finanziario. Insieme copriamo tutti gli aspetti essenziali operativi e organizzativi e, per quanto riguarda la parte relativa ai contratti internazionali, ci affidiamo a uno studio legale.

Come è nata l’idea?

L’idea di sviluppare una nuova classe di materiali compositi a matrice ceramica ultra-refrattaria era in animo da tantissimi anni all’interno del gruppo ma la giusta tecnologia per produrli l’abbiamo inventata circa sette anni fa. Vorrei dire grazie a un colpo di fortuna, a un errore fortuito, sono cose accadono davvero, ma nel nostro caso devo ammettere che sono stati necessari tre anni di esperimenti falliti solo per realizzare i primi proof of concept. I nostri risultati scientifici sono stati pubblicati a livello internazionale. Così abbiamo catturato l’attenzione dei grandi player della space economy e della commissione Europea di Horizon 2020 che ha finanziato dal 2016 al 2020 il progetto europeo C3harme. L’idea di portare sul mercato il frutto della nostra ricerca è nata l’anno scorso quando tutte le decine di prototipi realizzati avevano superato i test di validazione proposti dalle aziende e i centri aerospaziali con cui stiamo collaborando. In seguito, parlando tra amici dell’interesse di alcune società appartenenti al progetto, abbiamo imbastito una vera idea imprenditoriale.

A che punto siete?

Secondo la nostra roadmap contiamo di costituirci come spin-off del CNR a dicembre 2020. I primi tre anni lavoreremo nei laboratori ISTEC-CNR anche come coordinatori delle lavorazioni esterne. Inizieremo con la produzione di lotti o semilavorati su misura per i settori di ricerca e sviluppo delle aziende della «space economy». L’utilizzo dei brevetti CNR che proteggono questa tecnologia è già stato definito, stesso discorso per gli accordi con i partner industriali. Ci riteniamo a buon punto visto che non sono previsti investimenti di sostanza se non legati a brevetti, ad attività di marketing e ricerca.

Quali sono i punti di forza di e quali, invece, i punti di debolezza?

Se dobbiamo fare una classifica, al primo posto tra i punti di forza mettiamo di sicuro la composizione del team visto che siamo tutti e tre fortemente motivati nel portare avanti questo progetto. Parlando del prodotto, invece, possiamo fare affidamento sull’alta qualità visto che si tratta del frutto di una lunga ricerca scientifica. Inoltre, la nostra tecnologia è già protetta da un brevetto, le partnership sono già avviate e, come abbiamo già detto, non abbiamo bisogno di grossi investimenti iniziali grazie a un approccio a costi variabili. Al contempo però dobbiamo fare i conti con i pochi fornitori in condizione di eseguire le complesse lavorazioni meccaniche, le lobby e le resistenze al cambiamento che si possono formare sia in ambito commerciale che tecnologico oltre alla totale internazionalità del business.

Vi ha travolto una pandemia nella creazione della vostra startup: come ha inciso il Covid?

Per fortuna poco. Siamo riusciti a gestire i ritardi anche da casa anche perché non siamo ancora nella fase della produzione. Alla fine ci è bastato avere una buona connessione internet per mantenere i contatti con il CNR, i partner e i futuri clienti.

Cosa vedete nel vostro futuro?

Ovviamente speriamo di vincere la Start Cup! Scherzi a parte, al momento puntiamo tutto sul costituirci entro il 2020 così da poter rispondere alle richieste dei primi clienti. Siamo certi del successo del nostro prodotto: non vediamo l’ora di ricevere da loro le commesse successive. Noi siamo passati molto velocemente dall’idea di una nuova classe di materiali ai primi esperimenti su scala industriale e siamo noi stessi molto stupiti di come siamo stati in grado, in così poco tempo, di riuscire in questo obiettivo. E questo ci rende di certo molto felici ma quello che ci preme dimostrare è che si può fare. Noi vogliamo essere la prova provata del fatto che la ricerca non vive in un mondo totalmente separato da quello industriale. I due ambiti possono e devono comunicare a favore dell’innovazione. È l’unica strada per andare avanti.