JEM Tech – Interviste ai finalisti


Dispositivo per la valutazione in sala operatoria della funzionalità meccanica del cuore. 

Ne parliamo con il CEO e co-founder Giacomo Rozzi

Di cosa si occupa la vostra startup? 

Abbiamo messo a punto un dispositivo medicale innovativo, chiamato videocardiografo, in grado di valutare in maniera non invasiva la funzionalità meccanica del cuore dei pazienti sottoposti a cardiochirurgia in sala operatoria. L’obiettivo è prevenirne la mortalità: riusciamo a farlo perché la nostra tecnologia, basata sull’intelligenza artificiale, permette ai clinici di creare terapie personalizzate in base al “battito” del cuore del paziente. In questo modo puntiamo a ridurre i tempi di permanenza in terapia intensiva, fornendo ai pazienti una migliore prognosi e riducendo al contempo i costi per la sanità.

Da chi è composto il team? 

I founder siamo io, Giacomo Rozzi, che della startup sono anche il CEO, Enrico La Rosa, il CFO, e il CTO Francesco Barresi. Al team si sono aggiunti Francesco Lo Muzio, Francesco e Mattia Fontana. In sei copriamo tre macro aree. Dell’area clinica e della ricerca di base me ne occupo io con Francesco Lo Muzio: siamo rispettivamente Ph.D e dottorando in Scienze cardiovascolari e abbiamo lavorato a lungo insieme. A Enrico, sistemista da oltre vent’anni, e a Francesco Fontana, laureato in economia delle tecnologie digitali, competono la parte economico-finanziaria mentre ai software developer Francesco Barresi e a Mattia Fontana quella relativa allo sviluppo tecnologico. Grazie alle competenze acquisite negli anni di studi e all’esperienza maturata sul campo, riusciamo a essere autonomi dello sviluppo del prodotto, il nostro videocardiografo.

Come è nata l’idea? 

L’illuminazione è arrivata il giorno in cui per la prima volta, in sala operatoria, ho dovuto seguire un bambino affetto da ipoplasia, nato cioè con un solo ventricolo anziché due. Visto che di solito mi occupavo di pazienti adulti con bypass, ero molto emozionato di iniziare qualcosa di nuovo visto che quel tipo di operazione è molto delicata e complicata. Quello che non avevo messo in conto fu la mia reazione di fronte a quel neonato di tre mesi disteso in quel letto enorme ma invisibile per la quantità di tubi e flebo che lo coprivano. Mi iniziarono a tremare le gambe e mi sono immaginato i suoi genitori disperati: ho ripreso lucidità e ho capito in quel momento che dovevo fare qualcosa di concreto. Ecco come è nata l’idea del videocardiografo: se il macchinario da un lato dà indicazioni sul «battito del cuore» durante l’operazione, dall’altro offre una speranza in più ai pazienti e ai loro cari in attesa in quei momenti così drammatici.

A che punto siete? 

Abbiamo lavorato duramente per portare la tecnologia il più avanti possibile e possiamo dire di essere soddisfatti. Abbiamo un prototipo TRL 6 con richiesta di deposito di brevetto nazionale e internazionale. Dopo la Start Cup ci costituiremo per non perdere tempo: abbiamo notato un notevole interesse per la nostra soluzione da parte dei tanti clinici con cui abbiamo avuto modo di parlare. Abbiamo in programma uno studio multicentrico con ospedali di spessore in tutta Italia tra cui le Molinette di Torino, il Bambin Gesù di Roma e l’AOUI di Verona dove io e Francesco Lo Muzio abbiamo svolto il dottorato oltre che con lo Charitè di Berlino. Inoltre, hanno già dimostrato interesse in una collaborazione l’Ospedale Gemelli di Roma su una tipologia specifica di pazienti ma siamo in contatto anche con il reparto di cardiochirurgia di Bari. Non vediamo l’ora di cominciare!

Quali sono i punti di forza e quelli di debolezza di Jem Tech? 

Senza dubbio il team e la sua composizione sono il valore aggiunto della nostra startup. Abbiamo tanta determinazione e quel pizzico di follia che ci fa pensare out of the box. Occorre considerare anche che il problema che andiamo a risolvere è molto sentito in cardiochirurgia e questo ci dà fiducia. La nota dolente invece è la parte economica: per entrare nel mondo del medicale servono davvero tanti soldi e investimenti importanti. Noi speriamo che qualcuno capisca le potenzialità a 360° del nostro progetto e sui finanziamenti speriamo si possa attingere anche dai fondi europei che saranno messi a disposizione per la sanità nel prossimo futuro.

Vi ha travolto una pandemia nella creazione della vostra startup: come ha inciso il Covid? 

Noi ci siamo reinventati. Per quanto riguarda il prototipo, non ci sono stati rallentamenti dal momento che era stato costruito nel 2017. Abbiamo colto l’occasione per concentrarci di più sul progetto, ognuno per la sua parte. In particolare, ho avuto molto tempo per leggere e approfondire certi temi che non mi erano familiari relativi alla pianificazione di una startup anche grazie al percorso affrontato con la Start Cup. Ogni minuto libero ci è servito per attaccarci al telefono e conoscere persone che ci avrebbero potuto aiutare a crescere. Abbiamo stretto molte mani anche se virtualmente!

Cosa vedete nel vostro futuro? 

Questa è una domanda sempre molto difficile perché quello che vediamo nel futuro è quello che speriamo si realizzi. Stando con i piedi per terra, entro cinque anni ci vediamo come una realtà ben affermata in Italia circa la valutazione intraoperatoria della funzionalità meccanica cardiaca. Al momento puntiamo all’Italia e chissà, magari potremo presto allargare i nostri orizzonti. Visto come abbiamo a cuore questo progetto, desideriamo davvero essere d’aiuto a tutte quelle persone si ritrovano in sala operatoria con tutte quelle incognite sulla loro sopravvivenza. Ecco, quando vedremo all’opera il nostro macchinario sapremo che la nostra vita sarà stata ben spesa.