Training Machine – Intervista ai finalisti
Training Machine
Il proposito della startup è quello di abilitare l’uso dell’intelligenza artificiale in ambito industriale.
Con la nostra startup vorremmo lanciare un prodotto che abilita l’uso dell’intelligenza artificiale in ambito industriale per applicazioni di Visione. Oggi i dati necessari per addestrare l’Intelligenza Artificiale sono prodotti a mano, quindi hanno un costo. Con la nostra soluzione questi dati vengono generati in automatico da un robot dotato di visione.
Siamo in tre e veniamo tutti dal Dipartimento di Informatica di Scienza e Ingegneria dell’Università di Bologna. Io sono un post-doc in Computer Vision e Robotica mentre gli altri due founder, Luigi di Stefano e Samuele Salti sono rispettivamente professore ordinario e professore associato di Computer Vision. Date le condizioni, e data la presenza di una domanda di brevetto con titolarità Unibo, il proposito sarebbe quello di costituirci come spin-off universitario.
In questo campo la ricerca è già piuttosto avanti. Basti pensare che nel campo della visione artificiale adesso il tema delle macchine a guida autonoma, dove si sfrutta l’intelligenza artificiale applicata alle immagini, la fa da padrone. Abbiamo ideato questa soluzione, che abbiamo soprannominato TrainingMachine, per applicare la stessa tecnologia in ambito industriale poiché ci serviva un modo per addestrare le reti neurali a costo zero. Nel nostro caso si tratta di un misto tra visione artificiale e robotica industriale: un robot che in autonomia colleziona immagini per addestrarsi a compiere un task come, ad esempio, prendere o spostare oggetti.
Uno dei punti di forza è sicuramente il fatto che siamo gli unici a proporre una tecnologia di questo tipo. Per esempio, ci sono già delle startup che si occupano di produrre i dati per addestrare l’Intelligenza Artificiale, ma lo fanno manualmente con una buona percentuale di errore visto che spesso il personale impiegato è poco specializzato. Noi saremo in grado di compiere la stessa operazione in automatico: il vantaggio è che i dati raccolti dal robot sarebbero di una qualità maggiore e il metodo garantirebbe all’azienda un risparmio significativo. Tra i punti di debolezza invece c’è la difficoltà di trovare persone che possano lavorare nel nostro settore. Le competenze richieste sono molto alte e la materia in questione non viene studiata, ad oggi, all’università ma nei corsi di dottorato. Il problema è che questo tipo di professionisti va a lavorare all’estero per uno stipendio decuplicato rispetto a quello che verrebbe offerto, a parità di condizioni, nel nostro paese.
Io vengo dal mondo scientifico per cui il bilancio dal mio punto di vista è molto positivo. Al di là dell’acquisizione di nozioni di imprenditoria che non conoscevo, ho imparato a raccontare la mia idea da un altro punto di vista che non fosse solo quello accademico. Nel nostro ambiente forse a volte manca un tipo di storytelling più avvincente, si rischia di diventare noiosi. Ecco, sicuramente questo è l’aspetto di cui farò più tesoro.
Cosa vedete nel vostro futuro?
L’obiettivo più a stretto giro è sicuramente quello di creare un’azienda che sviluppi dei prodotti nell’ambito della visione artificiale. Abbiamo altre idee e continueremo a fare ricerca in questo settore. Tra le nostre ambizioni ci sarebbe quella di essere acquisiti da grandi attori tipo Google. Sappiamo che c’è interesse anche perché a questi big player converrebbe un’operazione di questo tipo piuttosto che investire internamente. Se parliamo di sogni, invece, vorremmo creare un’azienda che possa competere con quelle che ci sono all’estero. Non guardo all’America ma basta andare in Svizzera: a pochi chilometri da noi a chi esce dall’università con un dottorato vengono riconosciute le competenze e non solo da un punto di vista economico.
«Creare un’azienda in cui continuare a fare ricerca e crescere una generazione di scienziati adeguatamente pagata che possano ambire alle stesse soddisfazioni dei colleghi che vivono e lavorano all’estero: ecco, questo è quello che ci piacerebbe fare.»